La separazione di figura e parola è una mutilazione
rispetto alla ricostruzione storica di una realtà in cui esse erano
naturalmente fuse.”
(Serena Romano)
Due donne in una stanza,
l’una si
muove, l’altra si guarda
distratta in un sorriso
(cielo coperto, carta di
riso),
che prova a raccontare
la biografia con uno sguardo;
questo canto
visivo
è di chi crede, è linfa d’ulivo
è linfa d’ulivo, è...
è linfa
d’ulivo, è...
È la notte delle Ramblas
che racconta questa danza,
quel
demonio che ho nel petto
è una statua rannicchiata,
note vive, come iodio
lo
riportano giù nel mare.
Da bambino consolavo
chi si nutre dei
difetti
mentre oggi mi raccontavo
che non so più consolare
le due donne in
quella stanza,
le due donne in quella stanza.
Dame e madonne in
pietra
ritte sui muri come fantasmi:
Antiche tribù mute,
mondo di gesti,
senza parole.
Pregano assieme in chiesa
statue di legno e statue di
carne,
le imitano in un chiostro
scribi di pietra ed oche sante
e...
tredici sante e un Re...
e... tredici sante e Eulalia...
È la notte delle
Ramblas
che solfeggia questa danza
archi(e)volti, ribassati
che improfumano
un po’ tutto d’oriente
torri vive, torri more,
voti offerti al Dio del
mare,
riti intrisi in ogni nodo
delle reti, nelle mani
dei momenti più
affiatati
di chi vive per il mare,
di chi vive per il mare...
di chi vive
per il mare...
Le due donne delle Ramblas
mi raccontano di una danza
che
mi nutre come il sangue
di chi si piccona il petto:
pellicano speranzoso
su
una croce dai l’esempio.
Donna mia posa lo specchio,
che c’è un sogno che
ti attende,
copri la città di veli e...
sogna i monti...
sogna i
monti...